Jornal de Welingprogress2, 30 jul 24

Edoardo Boncinelli - "Il male. Storia naturale e sociale della sofferenza"

"Un posto dove si produce poco ma si consuma moltissimo. Un posto dove i cittadini che non lavorano hanno superato ampiamente il numero di cittadini che lavorano, dove larga parte della popolazione ha accesso a consumi opulenti e dove allo stesso tempo la produttività è ferma da vent’anni. Una società signorile di massa che si regge anche e soprattutto sulla ricchezza accumulata dalle generazioni passate, dove la maggioranza dei cittadini non ha la minima intenzione di risvegliarsi dal sogno grazie alla lentezza del nostro declino.
L’uomo chiama collettivamente Male un certo numero di cose diverse: il dolore, la malattia, l’infermità, la consapevolezza della morte, il senso di inadeguatezza, la paura, l’ansia, la noia, il desiderio inappagato, la perdita, il sentimento dell’ingiustizia, la percezione della cattiveria e dell’invidia. In ogni caso si tratta della constatazione di una certa differenza fra ciò che è e ciò che ci aspetteremmo che fosse. Che poi sarebbe il Bene… In natura male e bene non hanno alcuna ragion d’essere. Nello stato di natura il male non esiste, né, per la verità, il bene. Entrambi scaturiscono dai nostri giudizi di valore, che non si confanno assolutamente al mondo naturale.
Nessun animale si sognerebbe mai di biasimare o di lodare le proprie o le altrui azioni, a motivo, non fosse altro, della sua ben limitata libertà di scelta.
Se la sensazione di dolore si impone e si sovrappone a uno stato di non sofferenza, viene da chiedersi di che cosa è pieno – se è pieno – questo stato, diciamo così «normale».
Diverse volte infatti non sappiamo dire se una cosa che ci è capitata ci ha fatto piacere o dispiacere e questa può anche essere la base dell’ambivalenza, quel fenomeno psicologico che ci fa volere e non volere allo stesso tempo una cosa e non sappiamo se la vediamo con favore o con repulsione. Anche in questo caso il valore della carica motivazionale è superiore all’importanza della valutazione.
la vastità del nostro mondo interiore, creato e mantenuto da una grande capacità della nostra memoria che ci permette di confrontare e conglomerare tra di loro eventi diversi, accaduti in tempi diversi e su diversi piani di realtà: eventi reali, raccontati, letti, visti sui media, immaginati, progettati e via discorrendo.
Nessuno si è mai dannato l’anima per spiegare la gioia, come se questa ci spettasse di diritto. O rappresentasse lo stato di partenza. È del dolore che vogliamo trovare la ragione.
È opportuno d’altra parte notare che l’idea stessa che esista una causa, o meglio una causa unica, di un evento, deriva dall’osservazione dell’agire di un essere animato. Nel mondo reale nessun fenomeno ha mai una causa unica. Esistono sempre un certo numero di condizioni predisponenti la cui combinazione porta all’evento in questione.
Nel mondo degli atomi non ci sono cause determinanti; vi regna piuttosto l’aleatorietà e l’indeterminazione, anche se nel quadro di una sostanziale regolarità. Solo un corpo di una certa dimensione può produrre un effetto mirato e prevedibile. Solo un animale può rendersene conto. Solo un uomo può mettere in relazione il concepimento di un’azione con l’effetto della stessa, pensata come causa.
La nostra necessità di identificare sempre una causa, unica e facilmente individuabile, di ogni evento, esclude quasi automaticamente l’accettazione del fatto che qualcosa possa accadere per caso. L’idea di caso, e di casualità, è una delle meno gradite per l’animo umano e delle più difficili da cogliere anche per la nostra mente. È proprio per il ruolo predominante che vi gioca il caso, per esempio, che molti hanno una grande difficoltà ad accettare la teoria dell’evoluzione biologica. È

bene chiarire che dire che una cosa avviene per caso non significa sostenere che non abbia una causa, ma semmai che ne abbia troppe.
Costituzionalmente l’uomo è un grande costruttore di significati oltre che di nessi causali e non perde occasione per attribuire un significato a ogni evento.
Su che base possiamo dire «questo non è giusto» o «questo è peggio di quello che sarebbe giusto in un mondo privo di male» oppure ancora «questo è capitato ma non doveva o non avrebbe dovuto capitare»? Con che cosa lo possiamo confrontare? La vita di ciascuno di noi è una e non si ripete. Nessuno ci ha mai garantito che le cose non sarebbero state così, anche se almeno a parole la famiglia e la società tendono a darci un quadro del genere.
Il punto centrale del problema è che nessuno può dirsi perfettamente e assolutamente sano, nemmeno in un particolare momento della sua vita. È un po’ l’analogo della sfida faustiana alla ricerca dell’attimo al quale poter dire: «Fermati, sei bello!». Qualche processo patologico è sempre in atto, in ciascuno di noi, in ogni momento.
Esistono insomma infinite maniere di essere malato, ma una sola di essere sano, e la probabilità non gioca a suo favore.
Ciò che è vivo non può mai stare in quiete.
Ci troviamo a vivere in uno spazio ristrettissimo in circostanze che più che fortunate potremmo definire miracolose. Abitiamo su un pianeta dalla struttura e dal clima particolarmente stabilizzati, che ruota intorno a una delle tante stelle del firmamento, non particolarmente giovane e «focosa».
l’unica cosa sensata che possiamo fare è meravigliarci tutti i giorni che sia spuntato ancora un altro giorno. Ma questo non è nella nostra natura e ci lamentiamo al contrario di ogni piccola turbativa dell’ordine costituito che ci si pari davanti.
Ciò è da attribuire al fatto – comprensibile ma non ragionevole – che ormai ci siamo abituati a quello che abbiamo, al punto che ci sembra «dovuto», e a quello – più che comprensibile e in fondo ragionevole – che molte di queste turbative generano dolore e morte, circostanze che affliggono un cuore.
«libertà e giustizia». Se è vero che ogni uomo aspira a entrambi questi ideali sociali, è anche vero che essi sono in larga misura incompatibili. O almeno a me così pare. Perché ci sia un certo livello di quella che normalmente chiamiamo giustizia (sociale) occorre sollevare le sorte di alcuni – forse dei più – e abbassare il livello di fruizione dei beni sociali da parte di altri. E questo non è quello che normalmente si intende per libertà. Senza contare che si dovrebbe specificare chi lo dovrebbe fare e sulla base di quali criteri.
c’è chi privilegia l’obiettivo della giustizia e chi quello della libertà. Non sono raggiungibili entrambi allo stesso tempo. Forse i problemi (sociali) ci parrebbero meno disperati e senza soluzione se avanzassimo pretese più realistiche. Richiedendo per esempio di contemperare un buon livello di giustizia con un buon grado di libertà,
Il male nelle cose deriva dalla posizione unica e unicamente scomoda in cui si trova la vita in generale e la vita umana in particolare. È la vita in sostanza lo «scandalo» dell’universo, e ancor più la vita della civiltà.
Se prendiamo in considerazione una qualsiasi dote materiale o morale che sia distribuita con continuità nelle popolazioni – la bellezza, la prestanza fisica, la tenacia, l’agilità, la forza, l’intelligenza, la generosità e via discorrendo – vediamo che la natura predilige e premia i valori medi, come dire l’aurea mediocritas, mentre noi siamo usi privilegiare i valori estremi, in genere quelli più alti. Per ognuna di queste doti ci saranno per natura relativamente pochi individui che ne mancano e pochi che la possiedono in grado eccelso, mentre la stragrande maggioranza degli uomini staranno nel mezzo del mucchio; la possiederanno cioè in misura accettabile ma non eccelsa: ce ne saranno tanti di media intelligenza, di media bellezza, di media tenacia e via così […] è abbastanza ovvio che una situazione del genere è quella più adatta ad affrontare qualsiasi tipo di novità: una popolazione ricca di individui medi si mantiene meglio e ha più probabilità di assorbire tanto gli urti ambientali improvvisi quanto i cambiamenti striscianti che si manifestano solo a lungo andare.
Noi però non ragioniamo in questi termini. A noi piacciono i belli, cioè quelli molto più belli della media; gli intelligenti, cioè quelli molto più intelligenti della media; i forti, cioè quelli molto più forti della media. In questo modo ci condanniamo a una continua delusione, perché quelli che ci piacciono di più saranno sempre una minoranza.
Ma perché ci piacciono tanto i valori estremi, e in genere estremi da una parte sola, per esempio i più belli, i più intelligenti, i più forti e agili o i meno egoisti e prepotenti?
Vedo essenzialmente due tipi di spiegazione, una di natura biologica e una di natura culturale. Quella biologica è in qualche modo connessa con le scelte sessuali.
Nessuno è infatti mai completamente buono, o quasi, perché noi definiamo buono un comportamento praticamente irrealizzabile, così che quello di bontà è in sostanza un concetto limite.
Il possesso di una dote al massimo grado richiede in genere un’organizzazione maggiore e quindi un maggior ordine.
Alla vita in generale e a noi in particolare piace l’ordine, alla natura che ci circonda il disordine. La storia è il risultato della successione dei compromessi raggiunti nel tempo fra tali esigenze fra loro contrastanti.

Tanto le scienze naturali quanto quelle sociali e giuridiche non possono operare che su grandi numeri e facendo il più possibile astrazione dai casi singoli, mentre ciascuno di noi giudica tutto quello che gli capita in prima persona e riferendolo a se stesso. Le sue non sono mai prove ripetute, perché gli è toccata una vita sola-
il male compiuto nel mondo nasce principalmente se non esclusivamente da qui, da considerazioni di natura valutativa e comparativa.
Dobbiamo apprendere come è fatto il mondo, come le diverse realtà che lo popolano rispondono alle nostre sollecitazioni e come ci si comporta nelle varie circostanze, consuete o eccezionali. Questo apprendimento è fondamentale e lascia una traccia indelebile nella nostra mente e nel nostro corpo, tanto per l’aspetto cognitivo che per quello comportamentale.
l’azione è effettivamente finalizzata a temperare certe ingiustizie, ma ne introduce anche altre, anche se magari di minore entità. Sembra un po’ che le cose procedano come prescrive il secondo principio della termodinamica: nel funzionamento di qualsiasi macchina, il calore, cioè la forma più disordinata di energia che si ha a disposizione, non può essere tutto trasformato in lavoro utile, ma una parte deve per forza rimanere sotto forma di calore, […] lo sforzo per limitare e combattere l’ingiustizia tende sempre a introdurre un qualche altro piccolo o grande elemento di ingiustizia.


Abbiamo già visto che le società che hanno tentato di appiattire le differenze, almeno potenziali, fra gli individui e che non hanno così autorizzato la coltivazione di troppi «sogni» non sono durate a lungo. È interessante notare come di questa serie di questioni si sia già occupato nel Settecento Bernard Mandeville nella sua irriverente operetta La favola delle api. La sua conclusione è che una società nella quale i cittadini fossero senza desideri, aspirazioni, invidie e vera e propria cupidigia finirebbe per fermarsi, ristagnare e inaridire.
Non sono le differenze, in sostanza, che sembrano scatenare i conflitti, ma è l’aggressività che individua differenze e divergenze di ogni sorta appena può.
Superato un certo livello di allarme e di abbandono di ogni speranza, l’uomo tende a rilassare la propria tensione morale, ad abbassare per così dire la guardia e a comportarsi secondo la linea di minimo sforzo: se non c’è futuro, che senso ha comportarsi in modo da migliorarlo?"

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Comentários 
Bello leggerlo in sintonia, come cucinare insieme, tu mi freghi la salvia e io ti giro gli arrosticini senza il tuo permesso per rosolarli come piacciono a me. Certe azzuffate prodotte dall'intimita', a volte non hanno prezzo 😀 
30 jul 24 por membro: PaoloAnasti
😆eppure mi è stato utile leggerlo, proprio per questo... 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Boncinelli, gran studioso. Ora spero che questo post non registri altri 347 messaggi… 
30 jul 24 por membro: Fabiano von Nart
Non preoccuparti Fabi, non accadrà  
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Non accadrà che ne parleremo a lungo, perché Bonicelli sottolinea argomenti che abbiamo già trattato precedentemente, in altri post. Faccio un piccolo elenco di concetti presenti nel riassunto di Welly e già trattati: 1) il male e il bene non esistono (come non esiste la realtà assoluta): è la nostra percezione e la nostra interpretazione che rendono positivo o negativo un segnale ricevuto neutro. Ed è sempre una nostra scelta usare la benevolenza o la malevolenza nel guardare o nel descrivere una situazione con favore o con repulsione. 2) Noi non siamo, ma diveniamo. Ogni nostro attimo del presente è diverso da come eravamo un momento prima e da come saremo nell'attimo successivo. È il concetto di divenire che trasforma l'essere in un attimo effimero. 3) Il concetto della sospensione delle valutazioni per godersi una inconsapevole serenità. 4) Le origini delle nostre delusioni provengono dalle nostre aspettative. 5) L'aurea mediocritas. Ovvero: Guardare ed aspirare alla rarità dell'eccellenza o all'esclusività della leadership, ci nasconde la stragrande maggioranza dei medi che se ne sbattono di eccellenza e di primeggiare, e si divertono alla grande brindando alla salute del vincitore tutto sudato 😀 
30 jul 24 por membro: PaoloAnasti
Ho dimenticato il concetto di causalità contrapposto a quello di a-causalità. Nel complesso in quel riassunto sono riportati molti concetti che hanno rappresentato i fondamenti del pensiero mistico o della psicologia positiva mondiali. Niente di strano che ci appaiano gia' sentiti 😀 
30 jul 24 por membro: PaoloAnasti
si, vero, concetti di cui abbiamo parlato abbondantemente in molti post, io li condivido tutti personalmente, immagino sia veramente un bel libro da leggere, sicuramente lo leggerò pure io 
30 jul 24 por membro: MartiEle222
Paolo anche l'incompatibilità tra giustizia e libertà. Quanti si son battuti per un raggiungimento della libertà collettiva in nome della giustizia? E il concetto nuovo di uomo medio più adatto a sopravvivere sul lungo termine, non specializzato, assorbe meglio gli urti ambientali. L'eccellenza é tipica di un organismo altamente organizzato (a differenza del suo habitat) l'essere umano in cerca di ordine e prevedibilità ambisce a questa. Ma é numericamente poco disponibile. Pertanto resta minoranza. 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Sostanzialmente, la natura predilige la mediocrità, nonostante l'essere umano guarda ed é attratto dall'eccellenza. 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Marty222 bene😃 buona lettura 😘 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Avere sedato l'amico friz? Non vedo più notifiche grottesche  
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Hai sottolineato un altro concetto diffuso welly: L'ordine naturale e' il disordine secondo l'uomo. E l'ordine umano, è disordine secondo la natura. 😀 
30 jul 24 por membro: PaoloAnasti
Paolo, non é una confettura popolare, é scienza. L'ambiente circostante, a partire dalla indeterminazione delle particelle atomiche, alla natura stessa é disordine e imprevedibilità. Sta in quello la sua bellezza, la capacità di stupire. Checché tu possa pensare sia ordinata, in realtà é frutto del caso, ovverosia un numero imprecisato e copioso di eventi che la precedono. Non c'è ordine, neppure in gran misura prevedibilità. Siamo noi, come essersi umani, che abbiamo necessità di ordine per organizzare una vita e struttura articolata e la civiltà e dare un senso agli eventi (persino al dolore). Se non avessimo avuto l'ausilio dei rari casi di eccellenza che hanno permesso il progresso e l'adattamento, non saremmo sopravvissuti come specie. Ma non dovremo, pare, specializzarci troppo. 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Mi ricordano un po'i principi di Edgar Moren. L'ecologia dell'azione: ogni azione sfugge alle intenzioni dell'attore interagendo con l'ambiente. Libertà: più alto è il grado di scelta, più alto è il grado di libertà, ma lo schiavo alla fine è più libero del suo padrone, e la libertà non è connessa alla ricchezza. Principio ologrammatico: il tutto sta nella parte come la parte nel tutto e il tutto non viene prima della parte ma la parte fa il tutto come il tutto fa la parte. Pensiero complesso: il sapere non è mai parcellizzato, frammentato, settoriale, ma è sempre integrato e connesso. Principio dialogico: gli opposti non sono antagonisti, ma complementari. Le istanze antagoniste stanno sempre insieme. Rapporto complesso cause-effetti, la causalità è circolare e non lineare. Gli effetti non vengono dopo le cause, ma alimentano le cause esattamente come le cause alimentano gli effetti per la creazione di un sistema che autonomo che si autogenera e si autoalimenta per sopravvivere.  
30 jul 24 por membro: MartiEle222
Marty non conosco Edgar Moren😌 In compenso mi è venuto in mente anche un altro punto non citato fa Paolo, l'autore cita il principio di termodinamica per spiegare che l'uomo per limitare gli effetti di una ingiustizia, ne produce inevitabilmente altre più piccole. Da mettere sempre in conto.  
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Paolo *confettura=congettura🤣 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Marty222 il concetto di causa effetto e circolarità che citi mi ricorda il concetto di karma buddhista, che è completamente travisato nell'immaginario collettivo, perché in realtà è appunto manifestazione di questo principio, impersonale, non punitivo. 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
È un filosofo e sociologo francese....allora ti ho fatto scoprire qualcos altro da leggere 💞😂 
30 jul 24 por membro: MartiEle222
Marty, grazie 🙏😘non finirò mai di leggere 🥺 😆 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2
Non ti abbiamo letto Fabi 
30 jul 24 por membro: Welingprogress2

     
 

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